FuoriDalComune

Domenica 10 novembre abbiamo organizzato un concerto dedicato alla nostra Chiara presso il Teatro Oratorio Sacro Cuore di Figino S.za.

A farci compagnia in questa serata sono stati tre amici “FuoriDalComune“: Francesco D’Auria, Marco Castiglioni, Luca Calabrese. Sul palco ci hanno proposto un progetto musicale che si muove nel grande alveo del jazz e dell’arte dell’improvvisazione, complice delle grandi culture del mondo.

Tante sono le cose che possiamo dire di questa stupenda serata ma abbiamo deciso di affidarci al nostro caro amico Gian Maria Rovelli che con la sua maestria sa esprime e cogliere il pensiero di ognuno di noi.

Ricordare. Si può ricordare in tanti modi.

Si può ricordare per abitudine, si può ricordare per amore. A volte provando emozioni piacevoli, a volte dolorose, ma entrambe testimoni di qualche cosa di importante.

Si può ricordare per odio, perché qualche cosa si è rotto, dentro. Perché la ferita è stata troppo profonda per rimarginarsi e non c’è la forza di risanarla.

Si può ricordare per crescere, per fare tesoro dell’esperienza passata e scegliere, di conseguenza, come organizzare il proprio futuro.

Oppure si può ricordare per il piacere stesso di ricordare. Come in questo caso.

Capita, nella più semplice quotidianità e nella frenesia di tutti i giorni, che una parola, un gesto, un profumo, un atteggiamento, portino la mente a fare un tuffo nel passato.

E non è un ricordo sterile, ricostruito dalla razionalità; è come se fosse tutto vero, come se si riprovassero le stesse emozioni di quel momento.

Si chiudono gli occhi e si rivivono quegli episodi; le labbra sorridono d’improvviso, quasi fosse un cenno involontario e immediato.

Perché quando i ricordi sono così nitidi e così puliti significa che la persona che ne è protagonista, in realtà, non è mai andata via, ma ha lasciato la sua presenza VIVA dentro di noi.

Il ricordo può scaturire da un’immagine. Mi sono imbattuto in una vetrina a tema autunnale: abiti, scarpe, borse, qualche foglia secca, colori caldi e un gufo, sì, un gufo di stoffa. La mente fa un balzo indietro; sorrido. Era qualche giorno prima di Natale, periodo di superhobby per Chiara, che si dedicava a strani manufatti di stoffa, stile patchwork, da regalare ad amici e parenti. Le prese in giro non mancavano: “hai scelto un colore orribile” “hai tagliato gli occhi storti” e poi arrivava l’Enrica “Ancamò cun ‘sti gufi de stòfa? A me me piasen pusse i pasaritt”. La mente non può dimenticare, non si può non ridere ancora. In quel clima natalizio, Chiara mi regala un disco orario a forma di gufo. Perché di lavoretti dal gusto discutibile ne faceva tanti, ma i gufi erano la sua passione. Prendo il gufo e inizio a prenderla in giro: ha un occhio strabico, la ruota con le ore tagliata storta, un’ala che si scolla. Ridiamo di gusto, fino alle lacrime, perché io esageravo punzecchiandola con ironia e lei sapeva benissimo che, in fondo, tutti i torti non li avevo. Rivivo quel momento, è un attimo, forse un secondo, ma la sensazione è piacevole. Oggi il disco orario a forma di gufo, con tutte le sue pecche, è uno degli oggetti che mi sono più cari, perché mi ricordano un momento semplice, apparentemente insignificante, ma felice.

Il ricordo può scaturire da un gesto: Questo accade sempre, costantemente, ogni volta che si entra in un qualsiasi luogo dove ci siano dei libri: è sufficiente uno scaffale, un volume e qualcuno che riponga quel volume in quello scaffale. Anche qui le labbra fanno un gesto involontario verso l’altro e a volte si leva una piccola risata, perché si rivivono le mille scene in cui Chiara riponeva i libri negli scaffali della biblioteca e l’Enrica la rimproverava motteggiandola “Pressa no ‘sti liber, che se ruvina la copertina”. Questo era diventato un siparietto da commedia dell’arte, una sorta di momento prevedibile, ma che ogni volta portava risate sane e piacevoli, battute e una sana ironia. Ogni volta che ripongo un libro su una mensola, rivivo quel momento, mi sembra sia passato un giorno, forse meno e non posso non essere divertito, come nulla fosse cambiato.

Il ricordo può scaturire da un profumo: l’autunno è giunto prorompente, il freddo, la pioggia, l’umidità, la ricerca di un posto caldo, magari in cui passare del tempo con gli amici, e il profumo avvolgente di una tisana bollente allo zenzero. Rivedo il thermos dell’Enrica, nella borsa di tela, i bicchieri colorati comprati da Chiara per il sacro rito della tisana pomeridiana. Qualcuno portava dei biscotti, lo zucchero non piaceva a nessuno e non si dolcificava la bevanda. Ma non c’era tempo per fermarsi. Si gustava la merenda lavorando, rispondendo al telefono, accogliendo gli utenti, consigliando letture; spesso si condivideva con qualcuno, perché passare in biblioteca e trovare Chiara era, per tutti, come andare a trovare un’amica. E le risate non potevano mancare: la tisana scotta troppo, c’è infusa la menta e l’Enrica inizia a starnutire, questa sa di fieno, l’altra, a detta di Luigi “ha il colore dell’urino coltura”. Chiara lavorava, tanto, appassionata e instancabile e la tisana, più che un momento di pausa, era un momento di vera convivialità, che rendeva tutto più vero e più intimo.

Il ricordo può scaturire da un atteggiamento, da un moto dell’anima. È il leit-motiv di tutti questi ricordi, un segno talmente semplice, da essere raro: il sorriso. Ogni volta che si sorride, con sincerità e allegrezza di cuore, con il gusto di sorridere davvero, non si può non pensare a Chiara. A lei non piacerebbe sentirsi “idealizzata”, il suo non era un sorriso ieratico e impostato; a lei piacevano le cose vere e genuine. Il suo ricordo più bello è proprio il sorriso, che sfociava quasi sempre in una fragorosa risata, perché ascoltava cavolate, perché le raccontava… perché era vittima di uno scherzo, perché dello scherzo era lei stessa l’artefice… perché i sui gufi di stoffa erano pieni di imperfezioni, perché i suoi libri erano troppo pressati negli scaffali, perché si scottava bevendo la tisana… perché ogni occasione era buona per sorridere.

E un sorriso sincero si riconosce subito perché ammorbidisce tutti i tratti del viso e coinvolge anche gli occhi. Ed è contagioso: non si riesce, infatti, a guardare una persona che ci sorride senza sorridere a nostra volta. E che cosa dire della risata? Quando qualcuno scoppia in una bella risata è impossibile rimanere seri. Una risata di cuore migliora l’umore, ci fa subito sentire meglio e aumenta immediatamente la fiducia e il buonumore.

E allora, continua a sorriderci, Chiara, perché ne abbiamo tutti tanto bisogno:

“La mia stella sarà per te una fra le migliaia di stelle. Allora ti piacerà guardarle tutte… Quando guarderai il cielo, di notte, rideranno per te tutte le stelle. Perché io vivrò e starò ridendo.”

ANTOINE DE SAINT-EXUPÉRY, Il piccolo Principe”

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